La 30a edizione del Concorso Internazionale di Arrangiamento e Composizione per Orchestra Jazz, nel 2016 dedicata al pianista Franco D'Andrea. |
Sarebbe stato troppo bello che un progetto così importante e affascinante avesse illuminato le menti dei nostri politici (tutti, nessuno escluso), troppo indaffarati a coltivare le proprie clientele, e avesse avuto un trattamento di riguardo, rispetto a tutti gli altri festival che alla fine sono una serie di concerti più o meno legati tra loro da un filo rosso e con la stella più o meno brillante a fare da clou.
Sì, perché in fondo, organizzare un festival di jazz (ma di qualsiasi altra disciplina musicale, teatrale ecc.) come una serie di concerti è abbastanza facile, con un budget da spendere. Basta una scrivania, un'agenda con i numeri di telefono, un telefono, un foglio e un lapis. Punto.
Barga Jazz era (avrei voluto dire con tutto il cuore è) diversa, profondamente diversa.
Il Concorso di Arrangiamento e Composizione per Orchestra Jazz ha un lavoro organizzativo ciclopico e se per trent'anni è riuscito a stare in piedi, barcollando spesso, è dovuto alla tenacia e alla cocciutaggine di Giancarlo "Jack" Rizzardi e in questi ultimi anni del figlio Alessandro. E certamente anche di tutto l'entourage che ha circondato Barga Jazz, a cominciare dai direttori d'orchestra: Bruno Tommaso prima e Mario Raja successivamente, per finire a tutta quella schiera di appassionati e volontari che hanno creduto, e soprattutto lavorato, per Barga Jazz.
Sì perché non è da tutti poter "imbastire" un festival del genere con la scelta del personaggio (ogni anno il festival è stato dedicato a un caposcuola o a un musicista che abbia lasciato una traccia importante nella storia di questa musica); poi la pubblicazione del bando di partecipazione con le specifiche dell'organico orchestrale e altre importanti indicazioni; poi ricevere le partiture (sì ragazzi, qui si parla di scrittura, i partecipanti devono saper scrivere di musica!!!); con una prima giuria di esperti, capitanata dal direttore d'orchestra, fare una prima classifica dei brani e scegliere quelli che andranno al Concorso vero e proprio; e poi sapere quali orchestrali (18 in tutto: 4 trombe, 4 tromboni, 5 sassofoni, vibrafono, pianoforte, contrabbasso, chitarra e batteria) capaci di leggere la musica al volo o quasi saranno disponibili per una settimana (!!!!) per provare e infine a suonare di fronte al pubblico nei due o tre giorni finali; organizzare quindi gli orari di prove, di pranzi e di cene, eccetera, eccetera, eccetera... Lascio alla vostra immaginazione il resto.
Ma Barga Jazz non era solo questo freddo elenco organizzativo, se pure complesso, era soprattutto l'impatto sonoro di una Big Band sull'udito di ascoltatori abituati ad ascoltare quotidianamente quella musicaglia e musicaccia inserita nelle pubblicità e nelle sigle televisive, create solo per ricordare un prodotto (anche se è tutta, ma proprio tutta, musica che deriva dal jazz, classica a parte).
È la forza e la chiarezza del suono di una grande orchestra suonata da professionisti che impressiona, emoziona, scuote un uditorio intontito da decenni di musica di niente, creata solo per arricchire le tasche delle multinazionali discografiche. Questa forza era Barga Jazz, adesso ridotta e stuprata da una manica di politici di niente, come la musica che certo ascoltano, e grazie a loro ridotta a un festival "normale".
Una Barga Jazz, ci auguriamo tutti, "di transizione" oppure "in cammino", come vogliono li organizzatori, ma che piacerà comunque perché dietro c'è un'organizzazione molto preparata e cocciuta.
Per il calendario e gli appuntamenti vi rimando al sito ufficiale: www.bargajazz.it.
Nella prossima puntata l'intervista a un musicista molto legato a Barga Jazz.
Stefano Cavallini
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