18 ottobre, 2016

Con il Pisa Jazz Swing 10tet il jazz torna ballabile

PISA - Il jazz si sa, è musica da ascoltare e da vedere; sì perché oltre che ascoltarlo il jazz deve essere guardato, perché a suonare ci sono artisti che esprimono ciò che in quel momento provano, siano introversi come Bill Evans o estroversi come Sun Ra.
In realtà il jazz, dopo i bordelli di New Orleans, agli inizi del '900 era diventato musica da ballo e Harlem, il famoso quartiere di New York, è stato dopo quel periodo un palcoscenico importante per il jazz: dai club fumosi e malfamati alle sale da ballo più prestigiose. Due su tutti il Cotton club e il Savoy Ballroom.
In solo questi due locali si sono esibiti musicisti che hanno fatto la storia del jazz: da Satchmo (Louis Armstrong) con l'orchestra di Fletcher Henderson, a Duke Ellington, che diresse la sua per molti anni residente al Cotton Club; e tutti, ma proprio tutti ballavano.
Il disco uscito a nome del clarinettista e sassofonista Nico Gori e il suo Pisa Jazz Swing 10tet, dal titolo emblematico Dancing Swing Party, racconta proprio il periodo della Harlem reinassance in cui Harlem, divenne il centro della musica jazz. Ma il 10tet di Gori allunga i tempi e arriva anche agli anni della 52a strada di New York, la strada dei club famosi e fumosi, dove i musicisti, dopo il lavoro di sideman nelle orchestre di swing dei bianchi, si ritrovavano a notte inoltrata a suonare al Three Deuces, al Jimmy Ryan's, allo Spotlight e in tanti altri.
Musicisti, ballerini, attori, cantanti si esibivano in questi locali e il gruppo di Gori richiama anche certe regole dello spettacolo, andando intelligentemente a scavare nel modo di porsi al pubblico degli artisti, presentatore e crooner compresi.

I musicisti poi sono di prima scelta, dall'impetuoso e cronometrico Vladimiro Carboni alla batteria, al solido Piero Frassi al pianoforte, all'intrigante Nino Swing Pellegrini al contrabbasso, alla rivelazione canora Mattia Donati alla chitarra, per finire la ricca sezione ritmica.
La front-line, formata da quattro fiati, che richiamano i four brothers dell'orchestra di Woody Herman (anche se in quella erano quattro sassofoni) sono Renzo Cristiano Telloli al sax alto, Leonardo Victorion al tenore, Alessio Bianchi alla tromba e Silvio Bernardi al trombone. Chiudono la formazione del disco i cantanti Michela Lombardi e Iacopo Crudeli con il vulcanico leader, che esprime il meglio di sé al clarinetto e al sax soprano.
Il disco è ben concepito, ben registrato ed eseguito, ma questa musica, più di altra, non può essere solo ascoltata, deve essere soprattutto vista e vissuta: ballata.
Sì perché lo scambio tra palcoscenico e spettatori è uno stimolo per entrambi, in grado di incitarsi, inebriarsi e divertirsi a vicenda, in una complicità continua e stimolante, che spinge i musicisti a darsi oltremisura e gli spettatori ad apprezzare e rilanciare con gli applausi e con il loro ballo.
È un jazz fisico e Nico Gori è un band leader che offre letteralmente i propri musicisti al pubblico; non solo ritaglia sapientemente loro le parti d'improvvisazione, ma li lascia suonare il doppio delle misure con cui gli standard sono scritti e spesso li conclude con una delle sue mirabolanti improvvisazioni, la classica ciliegina sulla torta.
I pezzi del disco, che sono qualcuno in meno dei concerti, spaziano da classici come Cheek to Cheek e Tea for Two a brani più bebop come Airmail Special di Charlie Christian a intriganti come Minnie The Moocher o da grande orchestra come Shiny Stockings del basieano Frank Foster, in cui i four brothers ricreano l'atmosfera di quegli anni formidabili per la musica jazz.
E vien da immaginare musicisti e pubblico sorridenti, grondanti di sudore, felici in un concerto fuori dai canoni, politicamente scorretto, a sovvertire le convenzioni tra pubblico e musicisti, sostituite da un calore umano che solo questa musica può offrire.

Stefano Cavallini
Maggiori info: info@pisajazz.it

Nessun commento: